Ut unum sint – Calice e patena per la Celebrazione Eucaristica
Anno: 2010
Progettisti: Matteo Lavarello (capogruppo), Marco Lavarello, Antonio Lavarello, Marta Lavarello
Consulente liturgico: mons. Ruggero Dalla Mutta
Il Concilio Vaticano II chiede attraverso la Costituzione Conciliare sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium che gli oggetti dedicati al culto siano caratterizzati da una nobile bellezza. Non è semplice oggi dire che cosa significhi davvero produrre oggetti che siano nobili e belli.
Il progetto da noi proposto costituisce una risposta alla richiesta concorsuale di disegnare nuovi oggetti per la Celebrazione Eucaristica ma insieme vuole essere l’occasione per una riflessione più ampia sul tema della bellezza al servizio della liturgia. In questo senso il calice e la patena che presentiamo testimoniano attraverso la propria configurazione alcune scelte che possono dunque essere intese come risultati di tale riflessione.
In primo luogo vi si afferma uno stretto legame tra la forma, il valore simbolico, la consistenza materiale e la funzione liturgica.
La forma coincide essenzialmente con un ordine geometrico, laddove la geometria è inno alla perfezione del Creato: l’emisfero della coppa, i longilinei elementi di sostegno distribuiti su pianta dodecagonale, il ripetersi delle forme circolari in corrispondenza del nodo e della base. Se la concezione iniziale è molto semplice e annuncia limpidamente la prevalenza del vero e proprio contenitore rispetto a ciò che lo sostiene, essa acquista complessità e dinamicità per mezzo della rotazione attorno ad un fulcro centrale dei listelli che costituiscono il fusto. Il movimento rotatorio genera una duplice tensione verso il centro e verso l’alto, dal punto di vista statico-strutturale così come nella percezione dell’osservatore: dodici debolezze si stringono sino a dar luogo alla forza capace di sorreggere il pane e il vino consacrati.
Giungiamo così ad identificare la carica simbolica che permea l’oggetto, esprimendosi esclusivamente attraverso il numero e la geometria ordinatrice: se la purezza formale della coppa e del piatto suggeriscono la centralità del Cristo, i dodici elementi individuali che la circondano intendono ricordare la Chiesa che vi si stringe attorno con un gesto che è insieme segno di comunione reciproca (“affinché tutti siano una cosa sola”, Gv 17, 21 ma anche Giovanni Paolo II nella Lettera Enciclica del 1995), delicato abbraccio (“rimanete in me e io in voi”, Gv 15, 4) e umile sostegno.
I materiali che concorrono a definire l’aspetto esteriore degli oggetti vengono subordinati alla logica geometrica ed al valore simbolico, sia in senso qualitativo sia in termini quantitativi. Si può infatti riscontrare un gradiente di preziosità nell’ascendere dalla base verso la coppa, una nobiltà via via crescente che accompagna il trapasso dal terreno al divino, dall’uomo a Dio. In basso si trovano i materiali più evidentemente legati al sacrificio dell’uomo, al lavoro manuale, alla vita quotidiana (il legno, l’acciaio), in alto la lucentezza dell’oro o dell’argento, peraltro ottemperando con ciò alle prescrizioni liturgiche riguardanti la costruzione dei vasi sacri. Vale la pena di sottolineare che quello da noi proposto è un principio ordinatore capace di governare un ampio palinsesto di possibilità; a seconda dei gusti e delle condizioni economiche del sacerdote e della comunità di credenti i vasi sacri potranno essere realizzati con varie combinazioni di materie corrispondenti ad altrettanti livelli di costo, purché tali accostamenti non contraddicano la logica precedentemente esposta.
Geometria e materiali non esauriscono nella mera rappresentazione il proprio compito, ma rispondono pienamente alle funzioni che la liturgia assegna ai vasi sacri. Nel calice la compressione che nella parte centrale del fusto viene originata dalla rotazione dei listelli accoglie ergonomicamente la mano del sacerdote officiante, mentre la precisa corrispondenza tra la dimensione della base e l’invaso che contiene la coppa non producono soltanto un gradevole equilibrio visivo ma garantiscono all’oggetto la necessaria stabilità.
Per completare le ragioni che hanno portato a definire la proposta progettuale è necessario delineare la questione della coerenza tra le suppellettili sacre, l’arredo liturgico e il contesto architettonico, riguardo sia alle istanze estetiche del nostro tempo, sia ai problemi posti dalla consistenza del patrimonio edilizio ecclesiastico italiano, costituito in gran parte da edifici storici. L’assenza di decorazione e di richiami figurativi conferiscono al progetto un carattere specificamente contemporaneo, fatto di sobrietà, economia dei mezzi espressivi, rigorosa aderenza alle istanze della liturgia, rarefazione concettuale ed allo stesso tempo un’intensità molto fisica e concreta, mentre la concezione in qualche modo “ingegneristica” dei sostegni intende risalire alla tradizione del moderno. È una contemporaneità composta, capace di assorbire la carica talvolta dirompente di spazi fortemente innovativi come di assorbire la calma imperturbabile del minimalismo più radicale. Eppure le risonanze e le analogie potrebbero non fermarsi qui: laddove tali oggetti fossero introdotti in una chiesa di origine barocca la dinamica torsione verso l’alto li renderebbe partecipi del pulsare dello spazio; qualora venissero accolti da un edificio rinascimentale le proporzioni misurate e le forme pure ne garantirebbero l’equilibrato inserimento; la stessa tensione ascendente del fusto, il suo essere essenzialmente strutturale ci consente di affermare che persino all’interno di una Cattedrale gotica il calice e la patena troverebbero armoniosa collocazione.